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Sempre più ricerche confermano l’efficacia degli psichedelici, a lungo stigmatizzati. Nell’ambito di un uso terapeutico di queste sostanze, il personale infermieristico deve svolgere un ruolo fondamentale in virtù delle sue competenze e della sua relazione privilegiata con le persone in cura.

Testo: Quentin Ulveling, Maxime Mellina

Forti del loro uso tradizionale secolare, gli psichedelici sono al centro di una rivoluzione. Queste sostanze a lungo vietate sono sempre più impiegate negli Stati Uniti e in Europa per trattare i disturbi mentali. Il numero di evidenze scientifiche sulla loro efficacia nel trattamento degli stati di stress post-traumatico, depressione grave, ansia e dipendenze è in aumento: basti pensare che l’MDMA, nota con il nome di «ecstasy», è alla fase 3 della sperimentazione clinica negli Stati Uniti e se verrà approvata sarà presto disponibile in farmacia. Lo Stato dell’Oregon, per esempio, ha dato il via libera all’uso della psilocibina per gli adulti e autorizza la creazione di centri di cura (healing center) dedicati per poterla consumare in completa sicurezza.
In Svizzera, ai sensi della legge sugli stupefacenti (LStup), la Confederazione rilascia a un numero crescente di medici autorizzazioni eccezionali per un uso medico limitato («uso compassionevole») di sostanze vietate come gli psichedelici. Gli Ospedali universitari di Ginevra hanno già accompagnato un certo numero di pazienti sotto l’effetto di sostanze nell’ambito di psicoterapie assistite da psichedelici (PAP). Le PAP sono destinate alle persone con malattie psichiche resistenti ai trattamenti, ovvero a chi non ha ottenuto miglioramenti a lungo termine dalle terapie e dai trattamenti farmacologici prescritti. Vengono rilasciate anche autorizzazioni eccezionali per la ricerca in questo ambito, catalogate dalla fondazione ALPS (Awareness Lectures on Psychedelic Science). Infine lo stesso Consiglio federale, nella sua risposta al postulato Rechsteiner, auspica una regolamentazione nonché maggiori ricerche e sperimentazioni pilota in materia.

 

 

Zona grigia giuridica


Le sostanze psichedeliche si trovano quindi in una «zona grigia» tra illegalità e legittimità, che genera incertezza e impedisce una riflessione obiettiva sulle possibili buone pratiche. Finora la ricerca scientifica è stata ostacolata dalla politica di «guerra alle droghe». Per di più le sostanze psichedeliche vengono utilizzate in tutto il mondo a scopo terapeutico non medico, in particolare per lo sviluppo personale o l’esplorazione della coscienza, ma l’Occidente ha recepito solo pochissime conoscenze e nozioni tratte da queste esperienze. Da qualche anno l’utilità medica degli psichedelici è riconosciuta, ma le autorizzazioni federali per il loro uso compassionevole sono restrittive e riservate ai casi gravi. Per ottenerne una, è necessario dimostrare di aver già tentato tutte le terapie possibili. L’organizzazione delle PAP rimane complessa, sia in termini di rimborso dei costi che di rischi.

 

 

Una forma di accompagnamento, più che una terapia farmacologica


La riscoperta degli psichedelici indica una svolta nell’impostazione delle terapie. Le sostanze vengono utilizzate nell’ambito di un processo terapeutico profondo, diverso dai trattamenti farmacologici. Fondamentale – oltre al suo finanziamento – è il modo in cui l’esperienza è vissuta e accompagnata. Per questo bisogna riflettere sul ruolo del personale infermieristico come forza accompagnatrice in queste esperienze che inducono uno stato di coscienza ampliata.
Ma come si può concretizzare il ruolo del personale infermieristico? Come si può sfruttare al massimo il potenziale di queste sostanze riducendo al minimo i rischi? Come funziona l’accompagnamento durante l’assunzione di psichedelici nell’ambito delle terapie? In che modo è possibile usare le conoscenze tradizionali sull’uso degli psichedelici? Queste differenti e complesse domande non andrebbero affidate alla valutazione di un solo gruppo di professioniste e professionisti, né considerate da un solo punto di vista. Pertanto è indispensabile riflettere e decidere collettivamente in merito al posto che la società intende riservare a queste sostanze.

 

 

Sfide e criticità della regolamentazione


Il GREA (Gruppo romando per lo studio delle dipendenze) e Eleusis collaborano da un anno con più di trenta esperte ed esperti di vari settori allo scopo di individuare modelli di regolamentazione innovativi per le sostanze psichedeliche. La recente istituzione dell’associazione Psychédélos, che riunisce pazienti che hanno già seguito una PAP, è stata determinante per definire quattro linee direttrici.
Un approccio pragmatico e non ideologico, che non esalta le sostanze come «rimedi miracolosi» né tantomeno le demonizza come un «male assoluto», ma che tiene conto del modo in cui vengono utilizzate.
Una visione democratica che permette a chiunque (eccetto le persone per cui esistono gravi controindicazioni) di vivere almeno un’esperienza psichedelica in condizioni di sicurezza.
Una visione sociale che ammette il consumo di queste sostanze non solo in contesto medico, ma anche sociale o spirituale. L’aumento delle malattie mentali a cui assistiamo oggi è la conseguenza di disfunzioni profonde della società. Non basta quindi trattare una persona con una PAP per poi reinserirla nell’ambiente che le ha causato sofferenza.
Una prospettiva interprofessionale in cui le competenze del personale specializzato e le esperienze di chi fa uso di sostanze psichedeliche sono prese in considerazione per lo sviluppo di buone pratiche, permettendo così di creare un quadro sicuro per il consumo di queste sostanze. Una review della letteratura specialistica degli ultimi 20 anni ha messo in luce l’assenza delle cure infermieristiche nella ricerca attuale sugli psichedelici.
Nell’ottica di un approccio interprofessionale, è invece importante prendere in considerazione il ruolo potenziale di infermiere e infermieri, ruolo delineato qui di seguito.

 

Competenze infermieristiche: accompagnamento, atteggiamento, verbalizzazione


Le terapie psichedeliche richiedono un impegno personale sia da parte della persona accompagnata che da chi l’accompagna. L’esperienza vissuta è l’elemento centrale di queste pratiche e l’accompagnamento è caldamente raccomandato. Per questo è fondamentale trasferire nelle esperienze psichedeliche le competenze del personale infermieristico: in virtù del loro impegno costante nella cura del paziente, infermiere e infermieri sono in grado di offrire un accompagnamento completo e di qualità.
Il «saper fare» infermieristico è forse quello più noto: infermiere e infermieri sanno come reagire alle situazioni di ­urgenza e garantire il benessere e la sicurezza delle pazienti e dei pazienti. Come spiega lo scrittore James Fadiman, nell’ambito di un’esperienza psichedelica è inevitabile che ci sia un transfert (di paura, rifiuto di farsi coinvolgere, potere, attrazione, ecc.), che deve essere riconosciuto e gestito. Quando si ha a che fare con una persona in crisi, l’obiettivo non è limitare gli effetti di questa crisi, bensì creare e preservare un luogo sicuro dove la persona possa vivere il processo senza entrare in conflitto con se stessa o con gli altri. Le crisi sono parte integrante del processo psicologico umano. Per gestirle è utile considerarle come un processo di guarigione e non come un «problema» da risolvere. Queste convenzioni si possono stabilire prima dell’esperienza psiche­delica.
Il «saper essere» (atteggiamento) è anch’esso un punto centrale. Quando una persona si trova in uno stato di coscienza ampliata, la sua sensibilità è accentuata e ogni dettaglio conta. Le professoresse di lavoro sociale Clémence Gauvin e Emilienne Laforge sottolineano l’importanza dell’atteggiamento, che implica consapevolezza e distanza rispetto alla propria cultura, fiducia in se stessi, autenticità, creatività, apertura, empatia e volontà di conoscere l’altro. Rimane una questione etica: la persona che accompagna deve aver provato a sua volta esperienze psichedeliche per poter stabilire una relazione basata su un linguaggio e un vissuto comuni?
Infine, da questo «saper essere» si sviluppa il «saper dire» necessario per accompagnare il vissuto e integrare nel processo terapeutico un’esperienza ineffabile. A tale proposito, il dottore in pratica infermieristica Robert Krauser spiega che uno dei problemi legati alla liberalizzazione degli psichedelici è dato dal fatto che nella nostra cultura non disponiamo di un linguaggio mitologico per comprendere la profondità dell’esperienza. Le culture tradizionali possiedono un contesto mitologico, religioso o spirituale che permette loro di capire cosa accade durante gli stati di coscienza ampliata. In tal senso, il ruolo del personale infermieristico è quello di stabilire una comunicazione empatica e di permettere l’espressione delle emozioni, delle sensazioni, dei pensieri e delle credenze che emergono durante gli stati di coscienza ampliata. Per accompagnare l’integrazione dell’esperienza psichedelica, si potrebbe ricorrere al «Tidal Model» di Phil Barker e Poppy Buchanan-Barker e all’«ascolto attivo» di Carl Rogers.

 

 

La presenza, un concetto infermieristico da rivalutare


Alla luce della comunicazione empatica e della necessità di accompagnare i diversi stati non ordinari di coscienza, ritorna un concetto fondamentale nella scienza del «caring»: la presenza. La responsabilità della terapista o del terapista nello stabilire un’alleanza terapeutica risiede nella sua capacità di essere autenticamente presente, adottando un atteggiamento definito come «mente del principiante» (Suzuki, 1970). In un contesto in cui le risorse sono spesso limitate e il personale di cura deve gestire carichi di lavoro elevati (compiti da svolgere in conformità ai protocolli, aumento del numero di pazienti, scarsità di risorse), la presenza può sembrare un requisito difficile da rispettare.
Eppure, nel momento in cui ci si libera dal bisogno di «fare» qualcosa, si crea uno spazio di curiosità e non giudizio che fornisce un supporto essenziale allo sviluppo. Nel suo ruolo, la terapista o il terapista non si limita a fornire soluzioni, ma si impegna a garantire pienamente la sua «presenza», dimostrando il desiderio profondo di comprendere la persona. La ricercatrice americana in scienze infermieristiche Jean Watson parla di «presenza autentica», la sua collega Rosemarie Rizzo Parse di «presenza vera». La presenza, in definitiva, crea uno spazio che offre a una persona l’opportunità di essere accompagnata in modo efficace nel suo stato non ordinario di coscienza.
L’accompagnamento deve essere senza dubbio interdisciplinare, ma le peculiarità delle cure infermieristiche svolgono un ruolo essenziale. Diverse competenze terapeutiche chiave individuate da Janis Phelps – come la presenza empatica o il rafforzamento della fiducia della paziente o del paziente per far emergere la sua capacità di guarigione innata – corrispondono perfettamente ai principi delle cure infermieristiche. Infermiere e infermieri sono presenti in tutti i momenti cruciali della vita: nascita, fine vita, crisi psichiatriche (scompenso, tentativo di suicidio, ecc.). Nel corso di questi momenti il processo «caritas» specifico delle cure, descritto da Andrew Penn a seguito di Jean Watson, acquista pieno significato. Questo processo si articola in vari punti, in particolare «creare un ambiente di guarigione per il sé fisico e spirituale che rispetti la dignità umana» e «assistere nella risposta ai bisogni umani fisici, emotivi e spirituali fondamentali», ovvero impegnarsi nella pratica del caring-healing rispondendo ai bisogni umani fondamentali.
I compiti menzionati sono elementi essenziali della «scatola nera» del processo terapeutico basato sull’uso di sostanze psichedeliche e il personale infermieristico può svolgerli perfettamente in modo autonomo. Inoltre possono fornire spunti per riesaminare in modo più ampio la definizione del ruolo dell’infermiera o dell’infermiere, questione posta in particolare dall’iniziativa «Per cure infermieristiche forti».
Questa posizione, forse, lascia spazio anche a una certa intelligenza spirituale transpersonale e invita la terapista o il terapista a mostrare apertura verso i misteri trascendenti ed esistenziali della persona che ha in cura. La coscienza di sé e l’integrità etica includono il rispetto di limiti appropriati, l’uso ragionevole del potere e la gestione delle questioni legate al transfert e al controtransfert. La professione infermieristica, data la sua poliedricità, ha a disposizione risorse uniche da investire nell’ambito delle sostanze psichedeliche. Infermiere e infermieri vantano competenze chiave che ne fanno degli attori essenziali, dalla conoscenza degli effetti degli psichedelici alla padronanza delle tecniche complementari.

 

 

Si profila un cambio di paradigma?


Il ritorno degli psichedelici segna un cambio di paradigma nell’approccio medico perché sposta il focus dai trattamenti farmacologici alla relazione paziente-terapista. In tal modo si dedica maggiore attenzione alla persona in cura. La prescrizione di psichedelici non va quindi considerata come una terapia farmacologica, bensì come un processo terapeutico profondo. Queste esperienze, basate su uno stato di coscienza ampliato, possono aiutarci a ritrovare la connessione con noi stessi e ad affrontare le sfide psicologiche ed esistenziali della vita. Il personale infermieristico trascorre la maggior parte del tempo con le pazienti e i pazienti e può quindi svolgere un ruolo fondamentale in questa trasformazione.
Attualmente l’accesso a queste terapie è limitato, soprattutto a causa dei costi elevati e della necessità di garantire una supervisione medica lungo il processo. Una buona soluzione per rendere più accessibile e finanziabile l’accompagnamento della terapia nel rispetto dei principi etici e di sicurezza consiste nel valorizzare le competenze del personale infermieristico e le conoscenze delle persone che hanno esperienza con le sostanze psichedeliche, in qualità di consumatori o operatori professionisti. Sarebbe opportuno anche riconoscere le pratiche e il sapere delle culture indigene che il mondo occidentale riunisce nel termine «sciamanesimo». La loro esperienza, unita alle conoscenze occidentali, potrebbe arricchire le terapie basate sull’uso di sostanze psichedeliche. In che modo la nostra società può imparare da esperte ed esperti di altre culture? Quali sono gli esempi da evitare? In tale contesto, il settore delle cure è in grado di dare un apporto rilevante e il personale infermieristico può mettere a disposizione le proprie competenze anche al di là del settore medico, impegnandosi attivamente per la prevenzione, la riduzione dei rischi, l’informazione, la formazione, l’insegnamento e l’accompagnamento.

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Questo focus è apparso nel numero 5/2024 di Cure infermieristiche, la rivista professionale dell'ASI.

La rivista infermieristica trilingue viene pubblicata 11 volte all'anno. I membri dell'ASI lo ricevono gratuitamente. Altre parti interessate possono abbonarsi alla rivista. L'abbonamento annuale costa 99 franchi.

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